Immersi come siamo nelle quotidiane fatiche indotte da una pandemia che si protrae da quasi due anni, la questione contradaiola, anche in funzione del Palio, non rappresenta di certo la nostra priorità. Forse, con una buona dose di rassegnata indolenza, noi stessi abbiamo colpevolmente pensato che tutto sarebbe passato alla svelta e, una volta terminata l’emergenza (ma quando finisce?), avremmo ripreso la nostra vita, le nostre consuete abitudini contradaiole. Ci sbagliavamo. Sbagliato dare per scontato che tutta la città, dall’Amministrazione comunale al mondo economico delle imprese, ci avrebbero in qualche modo aspettato rispettando i nostri spazi sociali ed i nostri ritmi naturali, mentre in città tutto cambiava: umori, priorità ed esigenze.
Lo si è visto subito con i primi Giri delle Contrade, e quell’incidente, sicuramente prevedibile, dell’incontro-scontro nel giorno dello svolgimento di “Strade Bianche” in concomitanza con il Giro della Nobile Contrada dell’Aquila. La storia si è ripetuta dopo un paio di mesi con la tentata installazione di un “dehor-limonaia” in Piazza San Giovanni senza che la Contrada della Selva fosse stata, non dico coinvolta nella decisione, ma almeno informata.
Ambedue le situazioni denotano una mancanza di rispetto preoccupante, seppure in molti a Siena continuino a pensare che “i problemi sono altri”. E può essere vero, ci mancherebbe. Quella che stiamo vivendo, per la generazione nata dopo la seconda guerra mondiale, è una situazione emergenziale drammaticamente nuova. Tutto sembra rimesso in discussione, tutto sembra precario, le nostre vecchie certezze non hanno più lo stesso valore. Le Contrade in questo contesto hanno responsabilmente messo da parte i propri interessi e, dimostrando grande senso di responsabilità hanno rivolto le proprie risorse umane ed economiche a favore della città e dei contradaioli bisognosi di aiuto. Un atteggiamento che talvolta però, non sembra sia stato compreso da una parte dei senesi facenti parte del mondo economico – e politico cittadino. Il silenzio e lo sconcertante immobilismo del Magistrato delle Contrade ha ulteriormente contribuito a favorire un lento distacco tra le Contrade ed il tessuto sociale e istituzionale della città.
Ci si dimentica, e forse chi di dovere non lo ha messo abbastanza in evidenza, quanto le Contrade durante i due anni senza Palio e con attività ridottissime, abbiano ritardato, in un primo tempo, l’apertura delle proprie Società, per favorire le imprese locali di ristorazione ed, in seguito, contribuito non poco a riattivare i ricavi di ristoranti e bar messi a dura prova dalle forzate chiusure. Come in tutta Italia, le strade e le piazze delle città d’arte sono state invase da tavolini e strutture per agevolare una ripresa economica non del tutto scontata. Strade e piazze che erano libere “grazie” anche all’assenza del Palio e quindi, non impegnate dalle attività contradaiole, sono state occupate da tavolini e strutture in luoghi prima inaccessibili, anche in virtù della deroga all’autorizzazione paesaggistica come previsto dalla legge n.176 del 2020. Tutto ciò, è innegabile, ha creato una positiva atmosfera di libertà e felice evasione dai patimenti imposti dalle chiusure antipandemiche.
Come era prevedibile qualcuno, però, ci ha preso gusto, senza considerare che le Contrade non sono sparite ma fanno ancora parte attiva di questa città al cui benessere sociale hanno contribuito non poco, e che rendono Siena una città unica nel mondo.
Inoltre è bene ricordare che le Contrade non hanno acquisito una determinata influenza sul territorio intra-moenia grazie al fatto che in talune occasioni vi festeggiano con banchetti, ma ciò è dovuto al riconoscimento dello Stato italiano come enti giuridici territoriali di antico ordinamento, come è stato ricordato in più sentenze, anche di recente. Ciò non significa che sono di fatto proprietari delle strade pubbliche e degli spazi urbani ma che semplicemente hanno in quei territori assegnati dal famoso Bando di Violante, una influenza attiva derivata dalla stessa storia della città.
E’ stato sostenuto da studiosi del settore giuridico che le Contrade avrebbero tutte le caratteristiche di Enti del Terzo Settore, pur non essendo iscritte nell’apposito elenco, acquisendone diritti e doveri. A questo proposito Giovanni Liberati Buccianti ha scritto: “Si può affermare che se una pubblica amministrazione avvia una co-programmazione deve ascoltare anche i soggetti attivi nel Terzo settore che non sono iscritti nel registro e che non sono dunque enti del Terzo settore: si pensi alla enorme conoscenza del territorio – e dei suoi bisogni – da parte della Contrada.”
In conclusione ritengo giusto fare un’ultima osservazione. Sia nel caso del Giro della Nobile Contrada dell’Aquila sia nel caso della Contrada della Selva per il “dehor” in Piazza San Giovanni, non c’è stato un intervento del Magistrato. Le Contrade coinvolte in queste azioni che definirei irrispettose e denotano un latente sentimento di mal sopportazione nei loro confronti nonostante la loro secolare presenza nel territorio, hanno dovuto far entrambe ricorso a precisazioni scritte (un manifesto ed una lettera) per riaffermare princìpi ritenuti ormai indiscutibili, talmente ci sembravano radicati entro la nostra comunità.
Il Magistrato, ente che dovrebbe tutelare l’interesse collettivo delle Contrade, evidentemente non ha ritenuto opportuno intervenire. Anzi, nel primo caso, è stato stigmatizzato la forma comunicativa del disagio, causato anche dai fischi indirizzati ai monturati. Nel secondo caso si è tornati ad un silenzio imbarazzante.
Eppure è proprio in momenti come questo che il massimo ente contradaiolo dovrebbe dimostrare tutta la propria indipendenza ed autonomia dagli altri enti cittadini, che siano pubblici o privati per poter liberamente riaffermare i diritti “politici” che le Contrade hanno conquistato. Ma per arrivare a ciò sarebbe auspicabile giungere ad una netta divisione tra impegno contradaiolo e nomine in enti pubblici cittadini o incarichi politici. Non si tratta di fare norme ad hoc, ma di raggiungere, ognuno personalmente, la predisposizione ad una “giusta distanza”, presupposto di libertà di pensiero e rispetto verso i propri contradaioli.
(da “Tufo al cuore” numero 6, dicembre 2021)
Giovanni Gigli