Su una popolazione comunale di 54000 abitanti solo 11000 sono residenti nel centro storico di Siena (dati del Comune di Siena al 2005). E’ da questo semplice constatazione che dobbiamo partire per qualsiasi analisi che ha per oggetto il cambiamento del modo di vivere la Contrada, perché la Contrada non può prescindere dal territorio di identificazione. Nel 1920 quando si iniziò a costruire fuori dalla città vecchia il quartiere di San Prospero, gli abitanti di Siena erano circa 43000 e quasi tutti abitanti nel centro Storico (solo una piccola parte risiedeva nelle zone tra Campansi, Porta Ovile e via Garibaldi). Quindi dobbiamo constatare che il territorio delle Contrade negli ultimi ottant’anni è stato abbandonato da quasi il 75% dei senesi residenti. Nel 1955 abitavano nel centro storico oltre il doppio dei residenti di oggi (circa 27.000). La profezia dell’arch. Mauro Finetti lanciata durante il famoso Congresso “Contrada e Territorio” del 1978 – “..fra venti anni la funzione residenziale del centro storico sarà trascurabile” – si è dunque avverata con buona pace di tutti gli avvertimenti e gli appelli lanciati in quella sede per invertire la tendenza. Questa diaspora dei senesi (che, personalmente paragonerei a quella degli Indiani americani) non poteva non innescare un lento ma costante cambiamento nel modo di vivere la Contrada. Il contradaiolo non nasce più nella verde prateria dei nonni ma bensì nelle riserve dei nuovi quartieri periferici ed anche più in là . Ma il senese di Taverne d’Arbia che contradaiolo è, rispetto al senese del 1950 nato nelle “lastre”? Esiste un interessantissimo saggio, del prof. Giancarlo Francini tratto dagli atti di un convegno sull’infanzia a Siena e pubblicato nel libro “Uomini e Contrade di Siena” (raccolta degli atti dell’omonima conferenza del 2003), in cui si analizza proprio questo tema ed in cui, tra l’altro, si accenna al paragone “Contrada-prateria”. Dalla sua indagine-intervista Francini trae la conclusione che il bambino, a livello mentale identifica la Contrada principalmente con gli spazi della Società: le stanze del bar e dei giochi o dove si incontrano gli amici. In secondo luogo con la “gente” di Contrada, quindi con il Palio inteso anche come momenti di ritrovo (feste, cene etc.) e solo raramente con le vie e le strade. Per i “bambini” e quindi per i contradaioli del futuro la Contrada ed il suo territorio sono legati da un debolissimo filo di identificazione.
Solo fino a qualche decennio fa il rapporto era molto diverso. Innanzitutto i bambini, i ragazzi e le donne erano quasi del tutto esclusi dalla vita della Società di Contrada. Per il bambino la Contrada era lo spazio dove viveva e giocava: la strada, la piazza, il rione. Adesso è scomparsa quasi del tutto la vita rionale ma la Società, con le sue mille attività è aperta a tutti e rappresenta la grande famiglia adottiva del contradaiolo orfano di un territorio che non gli appartiene più. Scrive Francini: “(La Società e quindi la Contrada) . è un ambiente sociale, popolato da persone con cui il bambino non ha particolari legami; solo ciò che della Contrada passa attraverso la famiglia (i valori proiettati sui comportamenti in Contrada; o i simboli della cultura paliesca cui vengono associati stili di condotta e principi di vita; il peso specifico che può avere l’impegno per la Contrada) assume significato intimo, nel senso che viene interiorizzato e diventa un riferimento esistenziale, emotivamente rilevante e per certi versi costitutivo del senso di identità del bambino stesso. Diversamente, la Contrada, rappresenta solo un’area di socializzazione”. In questo studio è interessante notare come i genitori intervistati, nel richiamare il fatto che una volta i ragazzi non poteva accedere ai locali della Società e della Contrada affermano come, allo stesso tempo, “ci si conoscesse di più”. Evidentemente frequentare la strada, il rione, lo stare tutti insieme nel medesimo spazio alimentava ugualmente la percezione di far parte della grande famiglia contradaiola. Ma oggi, per evitare che i locali della Società non siano solo uno spazio di socialità uguale a tanti occorre stimolare la presa di coscienza di una identità contradaiola costituita da tradizioni e miti che vanno molto al di là della propria dimensione personale. Ed in questo caso, come indica Francini, è necessario l’ingresso in campo di altre suggestioni quali sono appunto “i ‘miti familiari’ prodotto dell’attività di pensiero collettivo dei membri della famiglia in un percorso storico lungo generazioni”. Mi viene da aggiungere che ogni storia familiare è di per sé una Contrada in embrione nel senso che nell’evoluzione del percorso del ragazzo rappresenta il necessario “imprinting” (non a caso Francini cita Lorenz) sullo sviluppo della formazione contradaiola. Ed è necessario che questo intreccio di vite passate, storie, vicende lontane che sono i miti, possano trovare piena corrispondenza nella realtà da parte del bambino. Quello vincente, insomma, è il rapporto strettissimo tra famiglia e Contrada/Società. Non crediamo però che possa bastare andare in Società per fare un contradaiolo. Così come non basta entrare in Chiesa per essere un buon cristiano. Non è così facile. Addirittura non sono così importanti, ai fini della piena consapevolezza contradaiola, insegnamenti di tipo didattico. Occorre passare attraverso la condivisione intergenerazionale, attraverso la convivenza e la trasmissione di esperienze comuni. E qui entra in ballo anche un altro aspetto con il quale dobbiamo oggi confrontarsi: il gigantismo contradaiolo. Questa bruttissima parola serve unicamente ad indicare la crescita esponenziale del numero dei frequentatori della Contrada. Ho usato il termine ine frequentatori e non quello di contradaioli in quanto dubito fortemente che la totalità di coloro che accedono ai locali della Contrada/Società possa avere piena coscienza di una identità contradaiola. Francini conclude il suo saggio domandandosi qual è il veicolo che oggi guida l’appartenenza alla Contrada se non può più esserlo il territorio e non può esserlo il semplice battesimo alla fontanina? La risposta di Francini è semplice: la frequentazione, perché solo chi frequenta “sa”. Solo chi frequenta è informato e può cogliere i cambiamenti e gli sviluppi della Contrada/Società. I frequentatori, afferma Francini, narrando e ascoltanto sviluppano elementi storici sulla cui base ‘appartenere’. Il fatto che io sia qui a narrare e raccontare fa sì che io mi riconosca in questa Contrada. Questo percorso naturalmente è valido quando parliamo di una persona che seppure non nata nella Contrada è cresciuta in un ambiente familiare contradaiolo. Ma quando, nel rapporto vincente di cui parlavamo in precendenza, viene a mancare l’elemento ‘Famiglia’ che succede? E’ questa la figura nuova che sta arrivando in Contrada e che il saggio di Francini non esamina. Ed è con questo nuovo tipo di frequentatore/contradaiolo che occorrerà confrontarsi in futuro. Cosa narra un frequentatore che non è nato nel rione e che non ha una famiglia contradaiola ad uno che non è nato nel rione e che non ha una famiglia contradaiola? E’ qui che la catena dei rapporti narrativi descritta da Francini può interrompersi ed è con questo nuovo fenomeno che la Contrada dovrà confrontarsi. Fornire subito una risposta non è facile. La Contrada/Società dovrà comunque sostituirsi oltre che alla strada/rione anche alla famiglia di provenienza del contradaiolo. Ed per questo motivo che oggi più che nel passato è necessario porre importanza a ritualità fondanti ed al rispetto delle tradizioni che fino ad un paio di decenni fa davamo già per scontate grazie all’impriting familiare. Il frequentatore si ritrova catapultato in una girandola di iniziative tali (sport, gite, feste, calcio in tv, discoteca) da porre in secondo piano eventi come il Battesimo contradaiolo, la Festa Titolare, il Giro in Città e rischia di sfuggire ad un corretto comportamento di un codice contradaiolo non scritto. I segnali ci sono già. Si perde l’orgoglio di indossare la montura della Contrada, il Battesimo rischia di trasfomarsi in un rito privo di significato da offrire a chiunque lo richieda, l’insegnamento dell’uso della bandiera e del tamburo sono considerate tutto sommato attività di minore importanza rispetto ad attività sportive e di intrattenimento.Dei nomi e delle vicende dei grandi contradaioli del passato non rimane memoria.In questo caso il ruolo della Contrada deve essere quello di non assecondare questa pericolosa tendenza. Scrive John Thompson (sociologo, Università di Cambridge) nel saggio “Mezzi di comunicazione e modernità” (ed. il Mulino): “Per quanto conservi (la tradizione) la sua importanza, essa subisce tuttavia trasformazioni profonde.: la trasmissione di materiali simbolici, tradizioni comprese, si è infatti progressivamente separata dall’interazione sociale all’interno di luoghi condivisi. Le tradizioni non scompaiono, ma perdono ormeggi nei contesti della vita quotidiana”. E poi prosegue con un passaggio che ci interessa particolarmente: “Le tradizioni resisteranno al passare del tempo solo se verranno continuamente immesse in nuovi contesti. la coltivazione dei valori e delle credenze tradizionali comincia a dipendere da forme di interazione che coinvolgono i prodotti dei media; la fissazione dei contenuti simbolici su tali prodotti (libri, film etc.) assicura una forma di continuità temporale che riduce il bisogno della reiterazione. E possibile che il rinnovamento della tradizione comporti un mix in costante mutamento di interazioni faccia a faccia e interazioni mediate”. La nostra Contrada per fortuna ha intrapreso da tempo una strada che va sostenuta ed incoraggiata vale a dire quella della riscoperta della propria storia attraverso l’edizione di libri e di materiale multimediale spesso associate ad iniziative di incontro conviviale. In questo senso molto abbiamo fatto ma ancora molto resta da fare. All’interno della Contrada occorre creare strutture moderne, nuove figure che sappiamo svolgere questo importantissimo ruolo e affrontare al meglio la sfida moderna di una tradizione che ha bisogno di “nuovi ormeggi” per continuare vivere.
Giovanni Gigli