Prima o poi dovremo davvero chiederci quale posto nel mondo debba occupare l’idea del Palio di Siena. Per adesso si naviga a vista. E’ certo comunque che l’elemento di unicità sta lentamente perdendo di valore, sempre più intaccato da una volontaria omologazione entro determinate categorie. I collegamenti sempre più frequenti con le varie manifestazioni, sagre e palietti d’italia dovuti per lo più da interessi equini e di fantini “senesi” in quei luoghi, la decisa adesione alle norme dell’ordinanza Martini che ha definitivamente sancito la parità di status con “gli altri” e adesso la richiesta di iscrizione all’inutile lista di quell’ente di promozione turistica mondiale che è l’Unesco, hanno dato l’avvio ad un processo forse irreversibile che porterà il nostro Palio ad essere immesso in un ideale catalogo globale del turismo politicamente corretto. Per quanto riguarda i contatti con i palietti italici non c’è proprio nulla da fare. E’ un atto di autolesionismo volontario di quella parte di senesi che, si badi bene, del tutto lecitamente rendono onore a manifestazioni che godono di una qualunque presenza e di un qualunque riferimento al Palio senese come medaglie da esibire. L’opera di plagio che ormai ha pervaso nomi e topos tipicamente nostri, è certamente favorita dal senese in versione export-paliesco. Tira di più un pelo di cavallo che un carroccio di buoi. E’ un processo irreversibile. Anche la stampa cittadina, nei giorni precedenti l’effettuazione di qualche palietto più importante entra in fibrillazione e ci propina i vari accordi e retroscena con un enfasi ed una attesa pari al nostro Palio. L’impatto dell’ordinanza Martini, siamo certi, ha messo molte preoccupazioni alla nostra amministrazione comunale ed alla fine è stata fatta la scelta meno dolorosa, optando per il famoso “buon viso a cattivo gioco”. Certo non potevamo rischiare come Ronciglione di non correre il Palio, ma comunque, il Comune laziale famoso per le corse “a vuoto” su asfalto e pavè, ha avuto la determinazione di andare fino in fondo, contrastando una ordinanza cieca, figlia dell’emotività, ed alla fine ha avuto ragione in termini giuridici. La stesso risultato poteva ottenerlo, forse ancor più facilmente, il Palio di Siena.
E’ di questi giorni invece la candidatura del Palio di Siena nella lista del patrimonio culturale immateriale, per far da compagnia alla dieta mediterranea ed ai tenori di Bitti (gli altri patrimoni immateriali italiani!). Anche questo atto, impensabile, qualche decennio fa, trae origine da quel sentimento di paura e autodifesa che pervade ormai gli organi comunali e intercontradaioli. Accerchiati da un mondo cattivo che vuol vedere abolito il Palio di Siena (la sparata della Brambilla sembra abbia fatto tremare i muri) cerchiamo aiuto attraverso riconoscimenti esterni, un po’ come una “laurea honoris causa”, un qualcosa da esibire in faccia ai nostri detrattori. Il re è nudo, indifeso ed inerme di fronte al male e non ci rimane che chiedere aiuto alle Nazioni Unite di cui l’Unesco è espressione. Lasciando da parte facili ironie, senza dubbio, il Palio di Siena visto in questa prospettiva, appare debole e sempre più in preda a crisi di identità come se 500 anni di storia non bastassero a giustificarne l’esistenza, adesso chiediamo pure il certificato col bollino:
Giovanni Gigli