“Nel vedere poi le varie diatribe tra gli esseri umani, tra un essere e un altro, le liti che ci stanno, le paure dell’uno e dell’altro, l’essere umano cerca sempre di confrontarsi con l’altro a volte anche di fare guerre di altro tipo.Tante volte la guerra è declinata nello sport, nel calcio, quello contro quell’altro, ma esiste anche un teatro, un teatro storico, per altro anche molto controverso, che è il Palio di Siena, dove addirittura una contrada è contro quell’altra, la mini contrada contro quell’altra, insomma un casino terribile, noi, per creare più zizzania ci abbiamo mandato il nostro David Gallerano”.
Questa che riporto è la presentazione testuale di Enrico Lucci, conduttore della trasmissione di Rai Due “Nemo” che presentava il servizio, sul Palio andato in onda il 9 novembre, quello che è tanto piaciuto sia al Magistrato delle Contrade che al Consorzio. Ma perchè Lucci fa questa premessa? Perchè l’aggancio con il Palio, inteso come guerra e conflitto, gliel’ha offerto la giovane giornalista che ha appena finito di parlare sul tema dell’immigrazione e dei conflitti. Ecco perchè. Poco prima in studio si era parlato della drammatica situazione degli immigrati giunti sull’isola di Lesbo, del post-guerra a Sarajevo e, quindi, a chi non verrebbe in mente di collegare il tutto con la “Guerra di Siena”, dove “una contrada è contro un’altra” e “i cavalli si sfracellano”? Paradossale vero? Ma per i massimi enti intercontradaioli, va tutto bene, il servizio è in linea con le aspettative.Certo, il servizio di 15 minuti di David Gallerano (che ha la nonna senese), è corretto, seppure superficiale, ma evidenzia ancora una volta l’estrema benevolenza ed ospitalità dei contradaioli, pronti ad accogliere e aprire le porte anche della stalla per prestarsi all’ennesimo esame per giustificare la propria esistenza. Alla fine però, secondo i tempi della scaletta del programma, si è rivelato come un bel servizio confezionato solo per dar modo alla giornalista Margherita D’amico – convinta animalista che cura una rubrica su “Repubblica on line” – di salire sulla pedana del tribunale di “Nemo” e attaccare a testa bassa il Palio ed i senesi. Lo schema è sempre il solito, ma ancora in molti non lo hanno capito.
Da una parte “Noi Senesi” che vogliamo tanto bene ai cavalli e dall’altra l’animalista di turno che ribatte che non è vero, altrimenti “si farebbero correre i cavalli da tiro invece di sfracellare i veloci mezzosangue sulla pericolosissima pista”. Ciliegina, anzi, ciliegine sulla torta avvelenata preparata dal furbo Lucci – secondo il quale bisognerebbe far “correre cavalli di plastica con motore elettrico” – sono le dichiarazioni di Stefania Sandrelli e della giovane giornalista che le siede accanto. La prima afferma che in fondo il Palio è una “cosa da uomini” da cui le donne sono escluse, e l’altra che è ancora scioccata dall’esperienza di quando era piccola e vide un cavallo “sfracellarsi” sotto di lei mentre assisteva al Palio nel 2005 (quando tra l’altro non vi fu nessun incidente). Da notare che è il secondo processo televisivo in pochi giorni, che vede il Palio sul banco degli imputati , dopo quello della trasmissione “ItaliaSi” di Marco Liorni. Dalla divulgazione siamo passati ai processi tv, e questo cambiamento di interesse la dice lunga sulla percezione dell’opinione pubblica nei riguardi della nostra Festa. Come quando assistiamo ai film americani ed il poliziotto di turno si rivolge all’arrestato con la famosa frase “tutto quello che dirà potrà essere usato contro di lei”, l’accusa di questi processi sommari televisivi prende stralci di frasi, semplici affermazioni, per noi banali, per una specie di confessione del reato. La parola “guerra” usata innocentemente dal Capitano della Torre nel servizio appena presentato da “Nemo” è trasformata dalla D’Amico in una prova della crudeltà e della ferocia della corsa. La tradizione si trasforma in usanza barbarica e violenta. In fin dei conti però il servizio di “Nemo” un favore al Palio ed ai senesi lo ha fatto. Ed è quello di imparare a stare zitti e rifiutare ogni contatto con giornalisti in cerca “della vera anima del Palio”. In un momento come questo in cui dopo oltre venti anni di ininterrotti attacchi al Palio, il livello di allarme è giunto ai massimi livelli, è bene considerare la televisione come oggettivamente inadatta a recepire e trasmettere il nostro mondo così come lo sentiamo noi.Insomma, abbiamo perso la scommessa. La buona fede con la quale abbiamo aperto le porte a tutti, rifiutando di non trasmettere il Palio in diretta nella tv generalista, per paura che qualcuno ci accusasse di chiuderci nel nostro microcosmo e operassimo censure nei media, non solo non ha prodotto nessun risultato positivo ma ha addirittura peggiorato l’immagine del Palio e di Siena. Il totem della televisione come struttura mediatica intoccabile e sacra va smontato. Gli schemi su cui si muove il giornalismo televisivo non solo non si adattano al Palio ma sono controproducenti. Il modello televisivo, e non ci sarebbe bisogno di citare Pasolini, ha omologato il pensiero e distrutto ogni altra realtà autentica e differente dal pensiero dominante. A Siena oltrettutto abbiamo affrontato questa fenomeno mediatico credendo di riuscire a dominarlo con un’innocente e ingenua ospitalità, come quella che sterminò gli indios quando incontrarono i conquistadores. Invece degli specchietti e degli orpelli eleganti ci fanno vedere la fama, la notorietà e noi ci caschiamo credendo che tutto ciò possa rivelarsi come un vero affare. Ma non è così. La valanga di fango che in queste settimane ci è improvvisamente (ma neanche tanto) caduta addosso dovrebbe far aprire gli occhi a chi ha la responsabilità primaria di difendere il Palio. Ma purtroppo non accade. Si continua a brancolare nel buio, a singhiozzare proclami causati dall’orgoglio ferito, brandendo denunce che non verranno mai (a proposito quelle del Cenni che fine hanno fatto?), minacciando con comunicati stampa un mondo chi ci urla e ci vorrebbe destinati all’estinzione.
Solo chi ha scandagliato i social network in questi giorni può farsi un’idea di una situazione ormai irreversibile. Non si tratta di solo di fanatici analimalisti, ma di gente comune che magari fino a poco tempo fa ci difendeva anche. L’argine, là fuori si è rotto. Il pubblico televisivo, ovvero la massa degli italiani, non ha recepito affatto i servizi propedeutici della clinica dei cavalli, del pensionario a vita di Radicondoli, della solidarietà dei contradaioli, ha visto solo un povero animale morto all’ora di cena in diretta, magari mentre spolpava un cosciotto di pollo o si metteva sulle unghie lo smalto derivato dalle ricerche cosmetiche sugli animali. Lo si può percepire anche nei discorsi dei turisti in città quando in Piazza del Campo indicano le due “terribili” curve come il luogo della carneficina equina. Un altro fattore che occorre evidenziare che ci dovrebbe far riflettere sulla nostra sconfitta nel campo dell’informazione è costituito dalla differenza di trattamento tra gli sport equestri ed il Palio. La stessa giornalista animalista D’amico nel suo blog, nell’articolo dedicato all’incidente del cavallo della Giraffa dal titolo “Giustizia per Raol”, applaude ai commenti della consigliera FISE Eleonora Di Giuseppe su tutta la vicenda, in cui, tra l’altro afferma che a Siena l’ordinanza Martini è stata spesso disattesa. Interessante notare come invece per la D’Amico non interessi molto della morte di due cavalli in competizioni sportive “regolari” citati in uno specifico articolo dalla consigliera FISE (“Condividere norme e processi culturali”, 25 febbraio 2018, pubblicato sul sito dell’ Ucif) in cui la Di Giuseppe lamenta il mancato rispetto dei protocolli di emergenza in occasione dei due incidenti mortali.
Per inciso, l’Ucif (acronimo dell’associazione “Un cavallo in famiglia”) in una lettera inviata al Sindaco di Siena dichiara che l’88% dei loro lettori e il 76% degli iscritti, auspica l’abolizione del Palio di Siena: qualche migliaio di persone, dicono.Servono altre prove per capire che occorre operare un rapido cambiamento di strategia comunicativa? Fanno bene quelli di CTP e del Magistrato a liquidare tutto questo come “frasi fatte” e non leggere le critiche di molti senesi sui social (“La Nazione”11 novembre 2018) . In fondo, fino ad ora, questo atteggiamento ha funzionato alla grande.
Giovanni Gigli