Ne “la Repubblica” del 7 agosto scorso Adriano Sofri torna a parlare del Palio prendendo spunto dal tema della “secolarizzazione” della nostra Festa e partendo dalle argomentazione di Roberto Barzanti contenute nell’articolo “Il mondo del Palio e la modernità” pubblicato su “Murella Cronache” di giugno ed in seguito anche dal settimanale “La Voce del Campo”.”Una società si dice secolarizzata – scrive Roberto -quando si assiste ad una perdita di presa delle affascinanti mitologie, delle ideologie compiute, delle credenze religiose, degli apparati rituali. Magari sopravvivono simboli e consuetudini, ma sono svuotati dall’interno, non hanno più l’autenticità di una volta o scadono in superstizione, in artefatto folclore, in citazione dotta”.Riassumo in poche parole l’opinione di Roberto in merito a questo insidioso ed interessante problema introdotto con il suo articolo. “Il Palio non è immune da questo effetto che, partendo dai primi anni del ‘900 e poi dagli anni cinquanta in maniera sempre più percepibile, il Palio ha lasciato per strada tanti elementi del suo armamentario di miti e leggende. La nostalgia del passato non si serve a capire quanto sta accadendo”. Se a rispondere a questo allarmante quanto realistico pericolo non è stato un esponente del mondo contradaiolo né, a quanto mi risulti, neanche un giornalista senese ma bensì un intellettuale, sì amante del Palio, ma esterno alla città, la dice lunga sul totale disinteresse locale su questa lenta evoluzione (o involuzione) che sta attraverso il Palio. E forse anche questo rientra nella secolarizzazione del Palio.
Da questo tema Sofri riprende l’aspetto della nostalgia affermando che “. Roberto Barzanti ha appena esortato i suoi concittadini a vivere il Palio senza la nostalgia del Palio. Ha esposto robuste considerazioni, e tuttavia mi chiedo se la sua non sia una battaglia perduta per definizione. Uno degli effetti del mondo dal quale gli dei se ne sono andati è la voga della venerazione superstiziosa: falsi dei, falsi eroi, falsi cavalli alati, finti settenani, leoni taroccati e dive ritoccate. Un altro effetto è la nostalgia e, a non farne un vizio, è buono. Si abita una casa dalla quale sono stati rubati, o sequestrati per debiti, cristalli e cassetti pieni di lettere, sedie a dondolo e letti a baldacchino, e sui muri solo rettangoli più chiari commemorano i bei quadri di una volta. Non si abita la terra oggi senza nostalgia della terra. Il Palio commemora il Palio, e però riempie ancora di vivo presente la città e la piazza. Può permettersela, la nostalgia, a condizione di non svuotarsi delle vecchie carte e dei bei quadri e delle tende ricamate, per correre meglio incontro alla domanda. Alle televisioni, ai soldi, alla pubblicità, al sequestro della Fortuna e della Virtù da parte della Tecnica e della Potenza.” In realtà Roberto non esortava nel suo articolo a estromettere la nostalgia del Palio, ritenuta a buon titolo giustificabile, ma a non utilizzarla per capire dove sta andando il Palio e comunque mi sembra che le due tesi non siano contrapposte. La nostalgia non è utile di per sè a ragionare con lucidità e compiere decisioni importanti ma nel Palio ha un ruolo non marginale direi che svolga un compito fondamentale per mantenere e rinnovare gli aspetti fondamentali della Festa. La nostalgia infatti implica anche la memoria, la storia, il ricordo, le narrazioni dei padri, le storie tramandate che con il tempo vanno a costituire qualcosa di buono anche se tutto non lo è stato. La nostalgia vale anche per i giovani. Perché nell’idea del mondo contradaiolo passato che si è formata dalle letture di vecchi numerici unici o da un’aneddoto raccontato dal genitore o dal nonno si sviluppa un lieve e positivo sentimento nostalgico di affetto verso il tuo rione ed il giovane riesce anche a comprendere il fondamentale concetto che la Contrada non l’ha scoperta lui. Naturalmente stiamo parlando di nostalgia intesa non come malattia -“dolore del ritorno” – ma piuttosto come compiacimento estetico di un passato vissuto o narrato. In questo senso, si raggiunge l’importante consapevolezza che altre persone, due, tre, quattro secoli fa operarono per la Contrada, con l’unico scopo di valorizzare un patrimonio costituito da cose ed affetti. Ma qual è il nesso che lega la nostalgia da considerare come valore positivo ed il problema “secolarizzazione” del Palio? Forse a parole molti di noi si dichiarano nostalgici ma non fanno della nostalgia un valore positivo su cui confrontarsi di volta in volta nella vita contradaiola. Una nostalgia razionale questo sì sarebbe utile per affrontare meglio le sfide della modernità, le sfide come dice Sofri, della tentazione dei soldi, della televisione, della comunicazione in genere e della tecnica. Ma una nostalgia di questo tipo è una medicina riservata a pochi ed in compagnia dei “grandi numeri” con i quali le Contrade hanno scelto razionalmente di affrontare il futuro, c’è poco da stare allegri. All’interno della categoria “grandi numeri” sarà meglio per il momento tralasciare l’aspetto finanziario e concentrarsi su un aspetto che di certo Sofri non può conoscere direttamente ma che rappresenta sicuramente quello di maggiore rilevanza: il “grande numero” di coloro che si dichiarano contradaioli.
Guardo la partecipazione delle persone dietro il cavallo, alle cene del Palio, anche nei piccoli gruppi di discussione che si formano per parlare di questo o quel problema, di questo o quel fantino e mi domando quanti di loro possono definirsi “nostalgici”? E quanti sono i potenziali nostalgici di domani tra coloro che abbiamo messo il fazzoletto al collo il giorno del battesimo?. Quanti sono, viceversa, coloro ai quali abbiamo svendutola formula “sarai contradaiolo per tutta la vita” in cambio di trenta denari? Lo sbilancio secondo me è realisticamente a favore di quest’ultimi. E questo del battesimo rappresenta un solo aspetto di un fenomeno cosiddetto dei”grandi numeri” o “gigantismo contradaiolo”che producel’effetto diretto di accelerare il processo di secolarizzazione. La Contrada è sempre più concepita come un club o un’associazione sportiva: tutti dentro, avanti c’è posto. “Todos caballeros!” ritorna alla mente la famosa frase di Carlo V proclamata per non scontentare nessuno. Tutti dentro perché dietro il cavallo occorre essere tanti. Tutti dentro perché a cena occorre essere tanti. Tutti dentro perché così siamo più di “quell’altri”. A tutti il fazzoletto, a tutti la bandiera! (Breve inciso: l’uso tradizionaledel fazzoletto ormai è una pratica di cui stiamo per celebrare il funerale. E’ tale l’abuso da parte dei contradaioli presunti e dei turisti che è divenuto un segno distintivo non indossarlo).
Il fatto, poi che ad importanti e fondamentali appuntamenti della vita amministrativa e della memoria storica quali le elezioni, le adunanze, le feste titolari – eventi di secolare ricorrenza – la partecipazione sia molto tiepida rispetto ad una qualunque settimana gastronomica di cui al massimo si può parlare di trentennale tradizione la dice lunga sugli effetti negativi del fenomeno “grandi numeri” ammesso di voler ancora parlare di Contrada nei termini fino ad oggi usati nei libri e nei vari congressi. Se volessimo divertirci a fare una proporzione tra la quota di partecipanti alle adunanze e quella alle cene di cento anni fa rispetto ad oggi, credo che avremmo dei risultati abbastanza incongruenti. Ma qualcuno potrebbe obiettare: “ma cento anni fa non c’erano i soldi di oggi per andare a cena!”. Va bene sono d’accordo, ma per partecipare alle assemblee o al giro si spende ancora meno. Quindi non è lo stato economico che fa la differenza ma bensì la maggiore o minore consapevolezza dei contradaioli su cosa sia la Contrada.
Una consapevole nostalgia di certi riti, di certe usanze è la molla necessaria per una partecipazione alla vita contradaiola anche in quegli appuntamenti che non prevedono di riempirsi la pancia, ma unicamente quello esserci per fare scorta di buoni ricordi e prepararsi la nostalgia del futuro. Da un punto di vista dirigenziale forse non sarebbe male fare uno o due passi indietro evitando di allargare a dismisura una famiglia già troppo grande e fissare bene i paletti riguardo alle funzioni primarie che devono svolgere le Contrade.
Giovanni Gigli (da Murella Cronache)